Coronavirus in Africa: intervista alla giornalista Anna Pozzi

Foto di Arek Socha

Privo di illusioni, ma colmo di speranze, non c’è contraddizione se non apparente nello sguardo di Anna Pozzi sull’Africa. Penna di Avvenire e di Mondo e Missione, la Pozzi è una vera esperta dell’immenso continente dirimpettaio della nostra Europa. All’Africa ha dedicato vari libri, noti soprattutto quelli sul fenomeno della tratta delle schiave. L’Africa è una terra sconfinata, difficile da conoscere per la sua vastità e la varietà dei volti che presenta. A partire dal tema della diffusione del Coronavirus, una chiacchierata con Anna Pozzi ci permette di guardare alla realtà africana con sano realismo: la portata dei problemi che spesso ignoriamo può spaventare, ma le risorse dei popoli africani sono maggiori di quelle che siamo abituati ad attribuire loro.

Man mano che la fase acuta del Covid attraversava i continenti, si è parlato dell’Asia, dell’Europa e dell’America. Del continente africano si è parlato poco e in modo confuso. Cosa ha significato finora il Coronavirus per l’Africa? 

I dati ufficiali relativi all’Africa non fotografano la reale situazione della pandemia nel continente, perché sono stati fatti pochissimi tamponi. Dunque, è falsa e fuorviante l’immagine dell’Africa come il continente meno colpito. Del resto, la stessa Oms ha lanciato più volte l’allarme, sostenendo che in Africa si rischia una strage silenziosa e sul lungo periodo. I sistemi sanitari locali, infatti, non sono assolutamente in grado di affrontare una massiccia diffusione del virus. Molti governi hanno puntato molto sulla prevenzione e sulle misure di lockdown per contenerne la diffusione. Quest’ultime, però, hanno avuto pesanti “effetti collaterali” sulla popolazione.

Nei Suoi articoli, Lei si concentra anche sulle ripercussioni economiche del Coronavirus per il continente africano. Cosa si può prevedere?

Una cosa già evidente sono le drammatiche conseguenze “indirette” che il Coronavirus ha provocato sulla vita della gente. Non solo in termini economici, ma anche di vera e propria emergenza umanitaria e sanitaria. La chiusura delle frontiere, il blocco dei trasporti, le limitazioni dei mercati hanno messo in ginocchio vasti settori dell’economia informale, che garantisce tutt’oggi la sopravvivenza di moltissime famiglie africane. Per non parlare del calo dei prezzi delle materie prime come il petrolio o dei prodotti agricoli come il cacao, il caffè o la soia (attualmente difficili anche da esportare) che per alcuni Paesi rappresentano le voci di budget più significative. Infine, non bisogna dimenticare che l’epidemia di Coronavirus si inserisce in contesti già fragili, segnati da conflitti, tensioni socio-politiche e corruzione o messi in ginocchio da devastanti cambiamenti climatici. Questo fa sì che oggi milioni di persone in Africa, a causa del Covid-19, rischiano in realtà di morire di fame o di altre malattie – come la malaria o la tubercolosi – perché è diventato ancora più difficile accedere ai sistemi sanitari.

Per l’Europa è il momento di ripartenza, fase intesa anche come opportunità di cambiamento. Ci sarà un’opportunità di ripartenza anche per l’Africa? Oppure il continente verrà lasciato indietro?

L’Africa è ricchissima di risorse. Anche umane. È un continente giovane, con moltissimi ragazzi pieni di energia, di idee, di voglia di mettersi in gioco. Capaci di costruire loro stessi il loro futuro. Non sempre le leadership sono all’altezza, purtroppo. Ma spero che l’Africa trovi al suo interno le risorse per ripartire, perché temo che da fuori ne arriveranno ben poche.

 Spesso si ha l’impressione che i Paesi ricchi guardino al continente africano solo come problema: l’immigrazione, l’incremento demografico, il fondamentalismo islamico. E’ possibile cambiare prospettiva? Che altro può rappresentare l’Africa per noi? 

L’Africa è vista anche come un enorme bacino da cui attingere – se non addirittura saccheggiare – risorse e materie prime. Nonché un vastissimo mercato. Sia per le vecchie potenze coloniali, sia per la Cina, sia per Paesi con mire e interessi compositi come la Turchia e la Russia. Qui in Italia manca uno sguardo più articolato sulla complessità di questo continente, con le sue debolezze e le sue potenzialità, sia da parte della politica che della società civile. Data la sempre più scarsa informazione sull’Africa (come pure sul resto del mondo), dubito che si riesca a cambiare sguardo e prospettiva.

 La questione migratoria ha mutato anche la nostra percezione delle Ong. Il caso di Silvia Romano ha riacceso le polemiche. Poco però si è parlato del ruolo ricoperto dalla cooperazione internazionale in Africa durante il Coronavirus.

In generale, si parla poco – anzi sempre meno – di cooperazione. Eppure, oltre alla cooperazione bilaterale o multilaterale, in Italia ci sono moltissimi gruppi, associazioni, ong, missionari, che portano avanti progetti di solidarietà e garantiscono legami non solo di aiuto, ma anche di conoscenza e scambio che sono davvero preziosi. Ma che sempre meno fanno breccia nel discorso politico e mediatico o a livello della società civile. E questo contribuisce a renderci tutti più poveri. Non tanto in senso materiale, ma nella nostra capacità di leggere i fenomeni – compresa l’epidemia di Coronavirus – all’interno di un orizzonte più vasto e in una logica solidaristica.

Che ruolo ha avuto e che ruolo può avere la cooperazione per lo sviluppo dell’Africa?

Continua a essere molto importante. Ma penso che si debba agire innanzitutto sul piano della giustizia e dell’equità dei rapporti economici, finanziari, commerciali… In altri termini, non si deve restituire attraverso la solidarietà quello che si toglie (o meglio una piccola parte di quello che si toglie) attraverso accordi commerciali iniqui o politiche di sfruttamento, spogliazione e assoggettamento. Anche la cooperazione, del resto, dovrebbe passare da logiche emergenziali o assistenzialistiche a logiche di vero partenariato, dove ciascuno mette in campo quello che può per promuovere insieme un autentico sviluppo sostenibile.

In generale, dove sta andando oggi l’Africa?

Se si guarda alle leadership africane (ma anche a molte di quelle mondiali) non c’è da essere particolarmente ottimisti. Eppure, da tante parti, ci sono fermenti interessanti. Basti pensare alle rivolte in Sudan che hanno fatto cadere un regime che sembrava irremovibile o alle proteste in Algeria, che sono andate avanti per oltre un anno e solo il Coronavirus è riuscito a bloccare. Tante situazioni sono “sfumate” come il caso dell’Etiopia, il cui primo ministro Abiy Ahmed ha messo fine alla guerra con l’Eritrea, ma fatica a gestire le tensioni interne. Altre sono oggettivamente preoccupanti, come la vasta area del Sahel attraversata dal terrorismo islamista. Per non parlare del gigante-Nigeria, con tutte le sue contraddizioni, ma anche con le straordinarie potenzialità che sta sviluppando al suo interno. Difficile fare un discorso unico e univoco per tutta l’Africa. Probabilmente, è il continente dove tutto (o molto) può ancora succedere.

Intervista a cura di Lorenzo Benassi Roversi