Don Mattia Ferrari: la testimonianza di un prete a bordo con chi salva vite

Nei giorni successivi al caso della Sea Watch3 e di Carola Rackete, proprio mentre impazzava il dibattito sui giornali e nei talk show sul tema delle ONG e del loro ruolo, ho avuto occasione di scambiare quattro chiacchiere con una persona che ha svolto una funzione importante a bordo di una nave di salvataggio ed è stato al centro del dibattito e delle polemiche, proprio come Carola. Non si tratta di un semplice attivista, ma di un prete che ha aderito radicalmente al messaggio dell’accoglienza. Don Mattia Ferrari è un giovane dal volto pulito e lo sguardo fermo. Malgrado le ospitate televisive, è rimasto il viceparroco di una piccola circoscrizione della Diocesi modenese. Lo incontro sul sagrato della Chiesa di Nonantola, dove segue il campo estivo della Parrocchia. Don Mattia è l’autore di una scelta decisiva: imbarcarsi con Mediterranea e collaborare alle operazioni di salvataggio. In questo periodo storico tale scelta ha un sapore eminentemente politico e, per quanto tale decisione possa giustificarsi in ragione del Vangelo, rimane per la percezione comune una precisa scelta di campo. Scelta che Don Mattia non ha compiuto singolarmente: a imbarcarsi infatti è sembrata essere la Chiesa tutta. Di Don Mattia si è parlato molto (sul web si registrano tutti i cliché possibili a suo riguardo: da chi lo acclama come nuovo prototipo di prete cristiano, a chi lo accusa di essere tra i responsabili della dell’invasione e della sostituzione etnica). Per capire chi è e soprattutto le motivazioni che l’hanno portato a bordo della Mare Jonio, gli abbiamo chiesto di prestarsi a una breve intervista che riportiamo di seguito.

 

Don Mattia tutti conoscono l’esito della tua scelta: l’impegno diretto, a bordo di una nave che perlustra il Mediterraneo e salva le vite di chi si mette in viaggio dalle coste nordafricane verso l’Europa. Noi però vorremmo partire dall’inizio: dove si origina la tua sensibilità verso il tema delle migrazioni?

Si origina durante gli anni del seminario, durante i quali sono stato mandato a fare servizio pastorale nella parrocchia di Cittadella, a Modena. In questa parrocchia mi sono trovato a contatto con parrocchiane e parrocchiani, legati a realtà caritative molto attive nel servizio agli ultimi. A partire dal 2016, sono arrivati in Parrocchia i primi migranti. Vivevano in un centro di accoglienza lì vicino e hanno iniziato a chiedere di poter frequentare la Chiesa, per allacciare relazioni, per pregare. La Parrocchia li ha subito accolti e ne è nato un coinvolgimento forte. Così anche io sono stato coinvolto in questo grande mondo delle migrazioni.

 

Quindi una sensibilità che nasce da un’esperienza concreta

Esatto, nasce dall’incontro e dall’esempio. L’incontro con i migranti e l’esempio dei parrocchiani, che mi hanno preceduto nell’accoglierli.

 

Da qui come si passa a prendere la decisione di salire a bordo delle navi della Mediterranea?

La scelta di salire a bordo nasce dal fatto che Mediterranea sta costruendo da tempo un dialogo molto proficuo con la Chiesa cattolica. L’8 aprile scorso c’è stato un incontro tra Luca Casarini e Monsignor Corrado Lorefice. Da Mediterranea è giunta la richiesta che fosse presente un prete a bordo: un cappellano di bordo, che è presente su tante navi, sulle crociere per esempio. Ciò per rappresentare in modo concreto la vicinanza della Chiesa. Lorefice ha approvato subito la richiesta. Poi è stato chiesto a me di svolgere questo ruolo a bordo, perché da due anni sono entrato in contatto con i centri sociali bolognesi e in particolare con Làbas, che è tra i fondatori di Mediterranea.

 

Secondo la visione di qualcuno, il prete dovrebbe essere all’apposizione rispetto ai centri sociali. Tu come la vivi tu e come la vive chi sta intorno a te?

Chi ha il coraggio di conoscere la realtà a cui mi riferisco, vive molto bene la cosa. I centri sociali possono essere molto diversi tra loro. Quelli che frequento, a Bologna, sono realtà di grande spessore culturale e umano. Non a caso hanno un dialogo molto forte anche con l’Arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi, che è stato il primo Vescovo a essere ospitato in un centro sociale, il TPO. È stato invitato da loro, per parlare dei discorsi di Papa Francesco ai movimenti popolari. Io vivo molto bene queste realtà, apprezzo la sete di giustizia di chi le frequenta e l’impegno concreto per costruire una società più fraterna e solidale. Tante volte, devo dire, sono io a venire evangelizzato, in un certo senso. Più volte, sono venuti con me i miei parrocchiani e sono sempre stati entusiasti dell’incontro.

 

La critica che ti si pone da tante parti, anche da dentro la Chiesa, è quella di aver preso con molta decisione una parte politica e di aver fatto una scelta finalizzata a creare opinione. Facendo questa scelta eri cosciente che ti sarebbe stata mossa questa critica?

È una critica cui ero preparato. La accolgo, quando è sincera, pur non riconoscendomi in essa. Mediterranea non è un partito, non tiene una parte politica precisa. Difende in modo concreto alcuni ideali e alcuni valori, che coincidono con quelli della Chiesa. Ovviamente, ci sono partiti politici che prendono posizioni più vicine o più lontane dalle nostre, ma il nostro intento non è un’operazione elettorale, ma di testimonianza e denuncia delle violazioni dei diritti umani e di salvataggio delle vite. È tutto qui: un’attività concreta. Poi qualcuno critica, strumentalizza, accusa: a noi dispiace, ma non ci scalfisce. Diceva bene il Card. Lercaro: “La via della Chiesa non è la neutralità, ma la profezia” cioè testimoniare il Vangelo in ogni periodo storico, e ciò non attraverso una presa di posizione astratta, ma le azioni concrete.

 

Quindi è un impegno civile e morale, non politico, il tuo e quello della Chiesa?

Non politico nel senso comune del termine. Ma dipende cosa si intende per “politica”. Io la intendo come la intende il Papa quando dice che i cattolici non possono non coinvolgersi… Non nel senso comune della parola “politica”, non nel senso di schieramento partitico, questo non ci riguarda. Occuparsi di salvare le vite in mare e tutelare i diritti umani non dovrebbe significare “prendere una parte politica”, dovrebbe essere l’impegno di tutta la politica. La Chiesa sta parlando ad alta voce, senza ambiguità. Questo sarà riconosciuto di fronte alla Storia. E poi alle parole seguono le azioni: sono orgoglioso dell’impegno quotidiano di tanti laici e religiosi, nelle parrocchie, nelle associazioni. Al fianco del Papa e del Vescovi, c’è questo lavoro costante e continuo, svolto nel quotidiano. Quando parola e azione si allineano, allora si diventa credibili. L’accoglienza dello straniero è uno dei capisaldi. E non direi solo l’accoglienza dello straniero, ma del povero in generale. Anche perché il problema è accogliere lo straniero quando è povero. L’esperienza dei nostri volontari in Caritas sottolinea come il problema non sia tanto con lo straniero in sé, ma con lo straniero in quanto povero, bisognoso. Si vede un rifiuto della povertà, dell’altro nel bisogno.

 

Il tuo ruolo nella Chiesa ha a che fare anche con la comunicazione. Come si fa oggi a comunicare in modo efficace su questi temi?

Non è facile perché come ha detto Lorefice, si è ammorbati dalla “peste del cuore”, che si insinua nelle persone e li porta a provare ostilità e chiusura. Non bastano le omelie. C’è bisogno di aiutare le persone ad avere contatto con la propria coscienza e con il proprio cuore. Quando si esclude il cuore, tutto scade, tutto diventa arido. Come fare non lo so: a mio avviso conta l’esempio concreto, più della predica. E conta la costanza di quell’esempio.  

 

In conclusione, arriviamo al tema del rapporto tra etica e legge. Stiamo vivendo un periodo in cui le leggi sui migranti vanno inasprendosi e qualcuno teme che possa verificarsi un’inconciliabilità tra la legge posta dallo Stato e la legge scritta nella coscienza. Qualcuno ha indicato come evento prodromico il caso di Carola Rackete. In breve, se la legge entra in contrasto con la coscienza come si gestisce il conflitto?

La strada è chiara. È quella che ha tracciato Gesù. Quando i suoi apostoli, per fame, hanno raccolto le spighe in giorno di sabato (il che era vietato dalla legge), Gesù ha risposto “il sabato è fatto per l’uomo, non l’uomo per il sabato”, ossia la legge deve essere al servizio dell’umanità, non l’umanità al servizio della legge. È meglio obbedire a Dio piuttosto che agli uomini, dice altrove Gesù. Quando la legge contraddice l’umanità è la legge che tradisce sé stessa, non chi disobbedisce. Nel momento in cui la legge fosse distorta in modo tale da calpestare il senso dell’umano, il senso del giusto verso l’uomo, è un obbligo non attenersi a essa, ma seguire i valori superiori dell’humanitas. Ovviamente, non si tratta mai di agire con violenza, ma di compiere comunque quello che è il proprio dovere davanti alla storia e davanti a chi soffre. L’appello di chi soffre non può essere ignorato. Un altro caso di questo tipo è quello accaduto a Roma nell’edificio occupato dello SpinTime, dove il Cardinal Konrad Krajewsky ha riattaccato la corrente elettrica, staccata per via delle utenze non pagate. Io ho avuto la fortuna di poter visitare lo SpinTime, prima di quei fatti. Posso dire di aver visto con i miei occhi quello che succede lì: è un luogo in cui vengono accolte circa 500 persone, un terzo sono bambini. Non si tratta della scelta di occupare abusivamente, di non pagare le bollette, ma della reale mancanza di un’alternativa. Tagliare la luce elettrica è atto di accanimento. Un atto ostile verso gente che non può difendersi. La legge anche in questo caso non tutela l’humanitas, ma la viola. Queste famiglie, compresi i 150 bambini, sono rimaste senza corrente elettrica. Krajewsky ha semplicemente seguito il messaggio del suo Maestro, ha obbedito a un’altra legge: quella della coscienza. Prima ha esperito tutti i tentativi presso le istituzioni (con la Prefettura, etc), siccome non c’erano risposte, ha agito in prima persona, non per fare un gesto eclatante, ma per mettere in pratica il Vangelo.

 

Intervista a cura di Lorenzo Benassi Roversi